sabato 22 gennaio 2011

piove a bari, italia.

le cronache politiche degli ultimi giorni sono notevolmente noiose.
abbiamo assistito ai peggiori esempi di autoannientamento della personale dignità umana.
esempi lampanti (e sconcertanti) di bieco servilismo al potere.
non mi va di discutere sul fatto che siamo l'unico paese in cui il primo ministro è quotidianamente coinvolto da scandali di varia natura ma tuttavia riesce a mantenere le redini dell'esecutivo.
così come non credo sia utile unirmi alla voce dei moralisti di varia natura che gridano allo scandalo nonostante gli scheletri nell'armadio siano qualcosa che coinvolge tutti.
non m'importa sapere dei comportamenti discinti di alcune ragazze nè voglio giudicare l'utilizzo che fanno della propria "libertà" (e dei conseguenti profitti).
le parole resteranno inchiodate sui giornali, sui siti web, sui blog che meglio del sottoscritto riescono a diffondere opinioni e giudizi.
ognuno è libero di leggerle, rielaborarle, discuterle.
una cosa è certa: per quanto se ne parli, nulla muta.
continuiamo a nasconderci dietro il "comodo" paravento del "parlarne per prendere coscienza del degrado politico in cui tutti anneghiamo".
va bene aprire "fronti" di discussione, ma allo stesso tempo mi pare che ognuno stia ormai profetizzando il noto segreto di pulcinella.
parliamone.
ciò che resta nella storia delle umane vicende è l'azione.
l'azione, nelle strettoie democratiche, si concretizza solitamente nell'esercizio del diritto al voto. in tal caso vedremo quanto saranno ingenui o meno gli italiani.
altro al momento non è dato se non nell'ottica "voglio ma non posso" (beccatevi questa, aggiungerei, ma entrerei in una polemica, probabilmente nota ai più, che coivolgerebbe l'intero assetto democratico in cui sopravviviamo).

(intanto un diluvio ha deciso di ripulire bari, facendomi pensare che -nonostante tutto- le cicatrici restano sempre al loro posto e vederle ci aiuta solo ad evitare errori in cui puntualmente ricadiamo).

giovedì 20 gennaio 2011

sogno n. 3..

il 19 gennaio 1940 nasceva paolo borsellino...
vi ho spesso annoiato con molte cose inutili, chiacchiericcio, divagazioni fini a se stesse. ma mai con una di quelle cose cui tengo tantissimo.
lo faccio ora, riportando un testo scritto circa sei anni fa..

C’è qualcosa che non ci è dato conoscere e, ora più che mai, ci è impossibile apprenderlo pur volendolo. Fortissimamente.
Osservando i loro volti più di una volta mi sono fatto forza, mi sono dato coraggio per affrontare i miei banali problemi quotidiani di studente universitario.
Ma quel qualcosa che non mi è dato sapere mi corrode, pur nell’espressione serena e rilassata di quei volti. Nonostante gli eventi, nonostante il fardello che si erano caricati in spalla insieme ad altri pochi autonominatisi prescelti!
Caro Paolo, caro Giovanni, pur nella piena consapevolezze e trasparenza della vostra opera e attività di magistrati sempre vivo è stato un fuoco dentro di me, vivo e semplice: il vostro sorriso nella più famosa delle vostre foto scaturita da una battuta sussurrata sottovoce all’orecchio.
Siete stati restituiti alla vostra umanità! Ed ho sorriso con voi.
Vi definivano (sprezzanti) i supergiudici, gli accentratori, i professionisti, malati di protagonismo.

(è forse protagonismo amare il proprio lavoro e amare il proprio paese al punto tale di versare il proprio sangue in segno di ultimo, esasperato sacrificio?)

Fisso l’immagine su Paolo Borsellino. La sigaretta penzolante sulle labbra e l’espressione ora nervosa ora vivace di un uomo pacato, questa è la mia impressione, impressione di ragazzo innamorato e ubriaco di legalità, facinoroso nel suo “stupido” tentativo di voler bene alla propria terra. E torno ai ricordi.

Paolo Borsellino è un magistrato. Impegnato nella lotta alla mafia. Spesso ombra di Falcone ma con uguali meriti, tante volte avvocato di questi: una su tutte quando da Marsala, dove era stato trasferito, fece da controcoro subito dopo la nomina di Meli quale nuovo capo del pool antimafia (cui Falcone era il candidato più indicato).
Le sue proteste, o meglio, le sue composte osservazioni (che comunque non gli evitarono la “chiamata” dinanzi alla sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura) sul danno che tale nomina avrebbe provocato alle indagini condotte dal pool antimafia si sono verificate subito: spazzato via il sistema di indagine che aveva dato i frutti migliori e cioè quello di fare il processo non ai mafiosi ma alla mafia per evitare problemi di competenza giuridica, in altri parole i maxiprocessi, il lavoro si frantumò e lo stesso Borsellino, dopo l’elettrizzante esperienza a capo della Procura di Marsala che decapitò la mafia locale, ultimo superstite del quintetto che fu distrutto dalla violenza stragista mafiosa, tornato a Palermo fu inabissato di cause di poco conto, mentre cercava, d’altro canto, di lavorare il più velocemente possibile sulla strage di Capaci del 23 maggio del 1992 con uno slogan agghiacciante ma pieno di significato: “devo fare in fretta, perché adesso tocca a me!”.
È così è stato il 19 luglio dello stesso 1992, quando via D’Amelio divenne da tranquilla via soleggiata in piena estate ad un campo di battaglia dilaniato da un’esplosione che ha scosso, per la seconda volta in pochi mesi, Palermo, la Sicilia e l’Italia intera: la mafia aveva affondato l’ultimo, micidiale, colpo allo stato e ai suoi uomini migliori, quelli che Sciascia definì "i professionisti dell'antimafia" accusandoli di carrierismo: perché è da tutti far carriera nella consapevolezza di morire violentemente. Pazzesco.

Da quel giorno sono stati sprecati fiumi di parole e celebrati tanti anniversari commemorativi, fino alla recente fiction sul magistrato palermitano che, seppur genuina e certamente educativa ha tralasciato qualcosa: a mio avviso andava sottolineata più profondamente l’emotività di quegli uomini che hanno fatto immensa la giustizia italiana, l’emotività più tragica e drammatica, non erano superuomini, ma uomini che facevano il loro dovere, non erano eroi, erano persone comuni e quindi anche loro suscettibili di emozioni quali la consapevole paura del sacrificio, la pura felicità della vittoria in un processo, l’amarezza della diffidenza che li circondava nel palazzo di giustizia di Palermo, ribattezzato, a ragione, il “palazzo dei veleni”!

Io Paolo Borsellino l’ho sognato. L’ho sognato poco più di un anno fa, lo ricordo come fosse ieri. Mi alzai con le lacrime e gli occhi gonfi, arrossati. Com’era caldo l’abbraccio che ci davamo, come sembrava vero quel momento, surreale come la frase che pronunciai e ricordo ancora nitidamente: "come è strano abbracciarti, sapendo che sei morto". Poi entrambi scoppiavamo in un pianto che voleva essere uno sfogo, pieno di umanità, di forza e di coraggio.
Questo è il mio ricordo più bello del giudice che ironicamente si definiva “monarchico” al fine di dissipare ogni dubbio sulla imparzialità del suo ruolo di magistrato a norma costituzionale.
No, non poteva essere monarchico lui, lui che della Repubblica è stato paladino ed estremo baluardo come ricorda Umberto Lucentini nel suo libro su Borsellino attraverso i ricordi dei sostituti procuratori che l’hanno accompagnato durante l’avventura che Caponnetto definì “esaltante” pur se mista alla tristezza del 23 maggio e del 19 luglio.

Sono passati tredici anni dai 57 giorni che sconvolsero il nostro paese, all’epoca ero poco più che un bambino.
Si, perché quando ho conosciuto il giudice Giovanni Falcone avevo undici anni, venti giorni e una manciata di ore. Era il 24 maggio del 1992 ed ero a tavola, appena rientrato da scuola e guardavo silenziosamente in tv quel cratere infernale sull’autostrada siciliana in prossimità di Capaci devastata dall’esplosione del giorno precedente, mi domandavo cosa avesse fatto di così terribile un uomo per meritarsi quella punizione.
Il 19 luglio dello stesso anno uguale trattamento fu riservato ad un altro giudice, Paolo Borsellino.
Non mi rimase che il vecchio interrogativo di qualche settimana prima.
E quelle immagini che scorrevano sul video le ho conservate, quasi mi appartenessero...caddero nel dimenticatoio, preso dai miei giochi d’infanzia, dai miei futuri errori e mi accingevo alla mia giovinezza.

...ma sotto la cenere, il fuoco brucia!

Ricordo solo la parola che veniva collegata a quel tritolo: mafia.

In quanto italiano non potevo ignorarla, mi era nota e vicina, in un certo senso penso di averla respirata sotto la forma locale di delinquenza organizzata di personaggi più o meno noti nel mio paese dediti ad affari poco chiari, ma cosa poteva importare a me mentre calciavo un pallone con i miei amici nelle strade o scappavo insieme a loro dopo l’ennesimo vetro rotto per evitare quella che avrei conosciuto in seguito sotto il nome di “flagranza di reato”, certo si sapeva che gli autori eravamo noi, ma oltre al pallone tagliato in due da forbici o coltelli compiacenti e una ramanzina dall’anziana signora ci rimaneva l’innocente consapevolezza della nostra libertà!
Qualche anno dopo avrei imparato a chiamarla “attenuante”!

Come nei film, la frase che meglio dissipa ogni dubbio: 11 anni dopo…

Ho conosciuto la mafia per gioco, nel vero senso della parola gioco, esattamente gioco di ruolo, la cui ambientazione era negli anni 20 di una New York in pieno periodo proibizionista; preso dalla smania di interpretare al meglio il mio personaggio, andai a rispolverare dalla libreria di casa un libro che già moltissimi anni prima avevo sfogliato pigramente e imbrattato un po’ con un pennarello nero, attratto da quel mitra Thompson in copertina e dal titolo affascinante e sinistro al tempo stesso: i Gangsters...volevo apprenderne la storia, i comportamenti e i traffici e trovai invece anche un’altra cosa: la passione per un fenomeno tutto italiano e dalla geografia sterminata!
Dopo aver appreso della vita di vari capimafia, da Torrio a Gambino, attraverso i vari Anastasia, Costello, Profaci, Luciano, Genovese e Gallo mi chiesi quale fosse l’antidoto contro questo virus che aveva insanguinato le strade d’America e d’Italia...come un fulmine a ciel sereno si fece limpida nella mia mente l’autostrada sventrata a Capaci e Via D’Amelio ridotta a scenario di guerra.
Negli stessi giorni, sempre casualmente, rovistavo nella libreria alla ricerca di un libro e m’imbattei in un altro: Cose di Cosa Nostra.
Una serie di concause niente male, penso ora a mente fredda.

Dopo la passione, l’interesse!

Fino ad arrivare a questo punto, ad oggi, a questo momento in cui scrivo, fatto di letture, di ricerche e di approfondimenti; sto imparando a conoscere il “mio” Borsellino, l’uomo, il magistrato, il padre, il marito, il siciliano. Con le sue emozioni, la sua cultura, la sua fede, le sue paure, le sue lacrime, i suoi sorrisi. Ed anche le sue sigarette! Tante, troppe.
E su questo piccolo giornale prendo il mio impegno con lui: raccontarlo, raccontarvelo.
A modo mio.

lunedì 17 gennaio 2011

introduzione breve alla saga "l'egocentrismo di dio".

correva l'anno 2009 e nei primi giorni di un bollente agosto con un amico si decide di mettere su un blog.
il suo titolo è "l'egocentrismo di dio".
blog che si snoda su due semplici concetti, che trascrivo:
1) motivi del blog. citazione: <<...disse bernstein "io sono il più grande direttore al mondo, me l'ha detto dio", karajan con estrema tranquillità rispose "e quando mai te l'ho detto!"...>>. morale della favola: non nominare il nome di Dio invano!
2) conosci il tuo nemico. il blog è stato fatto in nome della legge (quella di dio e quella dell'uomo, che spesso tendono ad essere la stessa cosa). i suoi custodi, jusupov e gavrilo, racconteranno a voialtri vicende e storie di un periodo non molto lontano dal presente.
il progetto si è arenato (ne spiegherò i motivi altrove, non so quando, ma probabilmente ho iniziato a scriverli svogliatamente ieri sera).
adesso ho intenzione di riprenderlo e riportarlo all'interno di questo spazio, senza tuttavia avere la benchè minima idea di come (ri)pensarlo e mandarlo avanti.
ma una soluzione si troverà.
compresa la più facile: quella di far cadere tutto nel dimenticatoio delle cose iniziate e mai terminate.
(e non me ne voglia il buon dio).

venerdì 14 gennaio 2011

leggere è altamente nocivo..

leggendo oggi un articolo su internet ("la società depressiva" di alain de benoist) mi è tornato a mente un post scritto un pò di tempo ("piccolo manifesto del socialismo individualista") fa e meditavo sugli accadimenti dell'ultimo periodo della mia vita e sulla chiacchierata, fortunosa a dir la verità, tra il sottoscritto ed un suo parente (uno zio, giusto per intenderci) dove quest'ultimo, raccolte un pò di informazioni, ha concluso il suo discorso con una precisa esortazione "a tirar fuori i coglioni e sbatterli a terra".
e così tutto il pomeriggio, quello successivo alla chiacchierata familiare, ho pensato ad un modo per non deludere lo zio.
poi ho anche rivolto il pensiero ad una tesi oggettivamente ineccepibile: non c'è una via che porta ad aggredire la vita, ma sono i nostri comportamenti quotidiani a farlo o, perlomeno, a doverlo fare.
il che è alquanto imbarazzante data la mia natura solitamente pacifica, per non dire tendenzialmente pigra.
il che è tuttavia contrastante con la mia contemporanea abitudine di farmi venire sempre idee nuove per la testa (proprio qualche giorno fa con una persona amica abbiam buttato giù delle soluzioni per un progetto ad entrambi caro, ma questa è un'altra storia...).
volendo sommare le due cose può sembrare piuttosto facile arrivare all'ovvia soluzione e risultato per cui io sia un soggetto disturbato.
ma siccome "disturbato" non è carino, la solidarietà umana mi viene incontro appiccicandomi l'etichetta di "umorale".
io preferisco dire che mi piace divagare.
l'ho fatto.
lo sto facendo ora.
continuerò a farlo. almeno su questo spazio e, appena i miei coglioni saranno duri per il continuo sbattere a terra, vi terrò aggiornati.
nel frattempo, per consigli o reclami, potete scrivermi all'indirizzo e-mail the2sens@gmail.com.
c'è la forte possibilità che una qualsiasi delle mie plurime personalità disturbate vi risponda a suon di insulti e improperi.

domenica 9 gennaio 2011

la paura del due

che dire.
è passata ormai oltre una settimana del nuovo anno e, se vado indietro nei post, mi accorgo che il 2010 era stato aperto con un 'commento', certamente non pretenzioso, sul discorso di fine anno del presidente della repubblica.
devo dire che, mentre ascoltavo napolitano, mi è venuta alla mente la canzone di rino gaetano "aida".
mi sembrava calzante in relazione alle parole del presidente e, soprattutto, a quello che avrebbe voluto realmente dire ma, per un motivo o l'altro, ha solo accennato oppure stemperato oppure non detto affatto.
dura la vita al quirinale!
certo, personalmente ho trovato più (mi si perdoni l'ossimoro) "pacata grinta" rispetto al discorso di fine 2009, qualche bacchettata al governo è stata data (specie con riguardo alla riforma universitaria...e tutto il discorso ruotava ed era diretto innanzi tutto ai giovani) così come mi è sembrato piuttosto diplomatico il mancato (diretto) riferimento agli scontri dei "giorni caldi" (13-14-15 dicembre) se non il generico richiamo al non cadere nella trappola della violenza.
e va bene, non mi avventuro oltre per evitare le bacchettate dei miei esigui lettori!

ora, detto ciò, non so perchè ho iniziato questo post con questi brevi cenni al discorso di fine anno del presidente.
forse l'ho fatto semplicemente per una questione di "continuità" o forse semplicemente perchè avevo voglia di scrivere qualcosa.
(il secondo post dell'anno sul blog è un traguardo fondamentale! come si suol dire, non c'è due senza tre...).
nell'anno appena trascorso ho scribacchiato ben 21 interventi sul blog e il blog stesso ha avuto un'impennata di visite (alcune, sicuramente per sbaglio, addirittura dagli stati uniti...ma anche altri da un paio di paesi europei).
considerando che non mi danno l'anima nello sponsorizzare questo spazio virtuale, posso dirmi soddisfatto.

ok, fine della predica, si va avanti!

lunedì 3 gennaio 2011

23.12.2010 (true story)

bari, il ventitre dicembre duemiladieci, è una città nuvolosa e spazzata dal vento, ma al tempo stesso umida e calda.
mi presento davanti il tribunale penale, sede anche della procura della repubblica, parcheggiando ("ci metto pochi minuti" penso) sulle strisce pedonali.
un timore riverenziale mi impedisce di parcheggiare, nonostante l'ora mattutina, all'interno.
spengo il motore, guardo la mia cartellina, c'è tutto.
una volta entrato vado dritto verso l'appuntato dei carabinieri che staziona all'ingresso.
"scusi, dove posso consegnare la domanda per..." domando
"secondo piano" risponde senza farmi finire
ascensore, secondo piano.
altro carabiniere
"scusi, in quale ufficio devo depositare la domanda per il concorso..."
"oggi che giorno è?"
"ventitre dicembre"
si volta verso il muro, c'è un foglio a4 con sopra scritto che le domande vanno depositate entro il 23.12.2010
"in fondo, seconda porta, dopo la colonna"
mi trovo di fronte la seconda porta. busso. entro.
un gruppo di cancelliere e operatrici chiacchierano "come se non ci fosse un domani" (cit.)
"devo depositare la domanda..."
"prego, dalla dottoressa"
la dottoressa è cordiale e mi chiede nome e cognome
batte lettere sulla sua tastiera.
poi mi chiede la domanda, i documenti e la foto.
appone un timbro, una data e una firma.
gira il monitor verso di me. con il dito mi indica una scritta.
"domanda inviata il 21.12.2010 e consegnata il 23.12.2010, va bene?"
"va bene"
"arrivederci e buon natale"
"arrivederci, auguri"
scendo a piedi cercando già una scusa per giustificare la mia assenza nella primavera romana.
all'uscita i segni.
pezzi di intonaco sono appena crollati dalla facciata esterna del palazzo e per poco non hanno preso in pieno una signora.
un addetto si giustifica chiedondosi come possa essere accaduta una cosa del genere (mente sapendo di mentire).
volto lo sguardo e incrocio gli occhi di un noto sostituto procuratore che assiste alla scena mentre si avvia verso la porta d'ingresso.

l'interpretazione dei segni:
1) la giustizia cade a pezzi.
2) c'è gente più competente del sottoscritto.

morale dei segni:
la mattina del ventitre dicembre duemiladieci potevo dormire un altro pò e andare, taciturno e selvaggio, in studio senza proferire parola.

(tutto ciò mentre a foggia si guardano documentari sulla legalità e si contesta l'interpretazione dei segni con altra fondata su fervide fantasie)

post scriptum: il presente post non è mai stato scritto e può essere utilizzato contro chiunque sostenga il contrario.