giovedì 19 gennaio 2012

trinacria, come sei bella..

Sai cos’è la nostra vita? La tua e la mia? Un sogno fatto in Sicilia. Forse stiamo ancora lì e stiamo sognando” (Leonardo Sciascia, Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia, 1977).

Ho un legame particolare con la Sicilia, con la sua storia, i suoi scrittori e la sua cultura.
E, diciamocelo senza chiose radical-chic, con la sua enogastronomia.
Da quanto si apprende sui giornali l’Isola ha inaugurato i suoi Vespri in salsa global-economy mettendo in piedi un vasto movimento di protesta: “Forza d’Urto”.
Il tam-tam, come capita spesso nella generazione 2.0, si è diffuso viralmente sui social network.
Sul quotidiano “La Sicilia” si legge che l’iniziativa coinvolge autotrasportatori, il c.d. “Movimento dei Forconi”, pescatori, piccoli imprenditori, commercianti e che vanno moltiplicandosi le adesioni, tanto che i punti di raccolta dei manifestanti (diffusi in strade, autostrade, porti e zone nevralgiche delle città) sono numerosi: se lunedi vi erano 26 presìdi, nella giornata di martedi il numero è almeno quadruplicato e molti esercenti hanno deciso di abbassare le saracinesche in segno di solidarietà con la cosiddetta “Operazione vespri siciliani”.
Se così va delineandosi il piano d’azione, le richieste si agganciano alla necessità di ottenere più infrastrutture e sgravi sul caro-gasolio, tasse e costi delle aziende nonchè di creare una ‘Zona franca’.
Il movimento di protesta, che sta accogliendo tantissimi favori sulla rete, sembra essere accompagnato da quel patologico fenomeno italiano per cui – al furor di popolo – deve assolutamente aggrapparsi il politico di turno.
E, come fuoco di fila, è arrivato il plauso e il sostegno di Gianfranco Micciché (“Grande Sud”), Marcello Dell’Utri (forse alla ricerca di nuovi “eroi”) e “Forza Nuova”. Non scivoleremo, tuttavia, nel deserto arido e sterile delle “facili” polemiche.
La riflessione è altra.
La storia ci ha raccontato la Sicilia come una terra di conquista, culla delle contaminazioni normanne, arabe e cristiane, punto di non ritorno (tra luci ed ombre) della risalita anglo-americana verso Berlino durante il secondo conflitto mondiale, ardente di ambizioni e sogni secessionisti.
E’ la storia bellissima di una medaglia a due facce, quella della Trinacria: da sempre rigurgita nell’isola un ribellismo puro, incontaminato, mai domo. Da sempre qualcuno tenta di alimentarlo per poi spegnerlo a giuochi fatti.
È partita la carovana dei forconi – ha commentato lo storico siciliano Giuseppe Casarrubea – sappiamo dove vanno, ma non conosciamo chi li spinge”.
Restiamo, ancora un pò, alla finestra.

giovedì 12 gennaio 2012

vedi bari e poi muori..

il capoluogo pugliese è balzato agli onori della cronaca (nera) negli ultimi giorni tracciando un cerchio di morte e disperazione culminato nel gesto estremo del suicidio. 
l’ultimo è quello dei coniugi de salvo strozzati dall’impossibilità di potersi permettere un tetto. 
i media hanno ricamato sui giornali la favola triste dei disperati, degli ultimi, dei senza dio, costretti ad una vita di povertà e solitudine. 
gli esperti hanno denunciato il rischio (già concreto) di emulazione. 
la politica ha solidarizzato, per carità, cercando altrove le responsabilità o raccontandoci prontamente che era stato fatto il possibile (per quanto di loro competenza). 
tra qualche giorno tutto finirà nel dimenticatoio. Lo spettacolo deve andare avanti. 
almeno sino alla prossima portata sulla tavola imbandita della comunicazione al servizio della demagogia. 
e intanto? 
intanto una massa indistinta di gente che non riesce ad arrivare a fine mese si incammina incerta e zoppicante verso un futuro sempre più avvolto dalla nebbia promanata dalla fitch rating di turno. 
intanto a santa fara, a poggiofranco, a santa Caterina si innalzano cattedrali di cemento superaccessoriate (magari inizialmente destinate alle forze armate impegnate nella lotta alla mafia ma poi stranamente abitate da prestigiosi uffici e benestanti concittadini).
intanto per la riqualificazione (“waterfront” lo chiamano, per farci sbalordire!) degli alloggi popolari di san girolamo (anno del signore 2008) la burocrazia sonnecchia. 
intanto i nuovi poveri strozzati dagli affitti sono in arrivo. la polizia cominciasse a lucidare stivaletti, scudi, elmetti e manganelli: seguiranno sgomberi di abusivi dagli alloggi iacp!
intanto la “questione edilizia” viene romanticamente affidata al destino: nella città dei costruttori, intruppati nell’uno e nell’altro schieramento politico, non è tempo di agire. 
e nemmeno di capire. 
la crisi del mattone, poveri, fa piangere anche i loro bilanci!

domenica 1 gennaio 2012

dal presidente operaio al presidente sindacalista..


Avevamo salutato con tiepido ottimismo il discorso del Presidente Napolitano del 2010, allorquando sembrava esser riuscito nell’ardua impresa di solleticare nei giovani italiani la voglia di rivalsa.
È passato un anno politicamente ed economicamente complesso e così quell’auspicio si è trasformato in una drammatica presa di coscienza.  
Ci saremmo quindi aspettati un discorso più pragmatico. 
Ed invece, ahinoi, ci ritroviamo a condividere le parole del pagano Calderoli, secondo cui, dato il curriculum del titolare del Quirinale, il Presidente della Repubblica “avrebbe potuto fare un esame di coscienza su quello che non si è riuscito a fare fino ad oggi”. 
Certamente possiamo replicare all’ex Ministro leghista che non conviene parlare di quello che “non si è riuscito a fare fino ad oggi”, dato che sino a ieri avrebbe dovuto (anche) farlo il Governo di cui era parte. 
Ma questa è un’altra storia. 
Le parole chiave di Napolitano sono quelle già sentite da Mario Monti: sacrifici, rigore, crescita.  In sottofondo l’ormai sbiadito ricordo del 150° anniversario dell’unità nazionale.
Nulla di nuovo sotto il cielo di un’Italia che si apprestava, statistiche alla mano, ad un cenone di fine anno divenuto semplice cena. Ma ciò che più ci ha colpito del discorso del primo cittadino italiano è stato il lungo deja vù con cui il Presidente ha simbolicamente trasformato la scenografia istituzionale in una officina operaia. 
Non è infatti passato inosservato il richiamo “gentile” ai sindacati, invitati a ricordare il periodo storico in cui furono capaci di “esprimere slancio costruttivo, nel confronto con ogni realtà in via di cambiamento, e anche di fare sacrifici, affermando in tal modo, nello stesso tempo, la loro visione nazionale, il loro ruolo nazionale”. 
Vedremo come reagiranno i tre moschettieri, nuovamente a braccetto sotto l’egida del dictat “o noi o le lobby” che per un attimo ci ha riportati al tempo in cui o si era con Lui o contro di Lui. 
Sul punto, da par nostro, suggeriamo alla Camusso di cambiare parrucchiere. 
Alla fine della corsa rimane dunque un senso di smarrimento affogato con solerzia in un piatto di spaghetti alle vongole. 
Domani è un altro giorno.


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