giovedì 20 gennaio 2011

sogno n. 3..

il 19 gennaio 1940 nasceva paolo borsellino...
vi ho spesso annoiato con molte cose inutili, chiacchiericcio, divagazioni fini a se stesse. ma mai con una di quelle cose cui tengo tantissimo.
lo faccio ora, riportando un testo scritto circa sei anni fa..

C’è qualcosa che non ci è dato conoscere e, ora più che mai, ci è impossibile apprenderlo pur volendolo. Fortissimamente.
Osservando i loro volti più di una volta mi sono fatto forza, mi sono dato coraggio per affrontare i miei banali problemi quotidiani di studente universitario.
Ma quel qualcosa che non mi è dato sapere mi corrode, pur nell’espressione serena e rilassata di quei volti. Nonostante gli eventi, nonostante il fardello che si erano caricati in spalla insieme ad altri pochi autonominatisi prescelti!
Caro Paolo, caro Giovanni, pur nella piena consapevolezze e trasparenza della vostra opera e attività di magistrati sempre vivo è stato un fuoco dentro di me, vivo e semplice: il vostro sorriso nella più famosa delle vostre foto scaturita da una battuta sussurrata sottovoce all’orecchio.
Siete stati restituiti alla vostra umanità! Ed ho sorriso con voi.
Vi definivano (sprezzanti) i supergiudici, gli accentratori, i professionisti, malati di protagonismo.

(è forse protagonismo amare il proprio lavoro e amare il proprio paese al punto tale di versare il proprio sangue in segno di ultimo, esasperato sacrificio?)

Fisso l’immagine su Paolo Borsellino. La sigaretta penzolante sulle labbra e l’espressione ora nervosa ora vivace di un uomo pacato, questa è la mia impressione, impressione di ragazzo innamorato e ubriaco di legalità, facinoroso nel suo “stupido” tentativo di voler bene alla propria terra. E torno ai ricordi.

Paolo Borsellino è un magistrato. Impegnato nella lotta alla mafia. Spesso ombra di Falcone ma con uguali meriti, tante volte avvocato di questi: una su tutte quando da Marsala, dove era stato trasferito, fece da controcoro subito dopo la nomina di Meli quale nuovo capo del pool antimafia (cui Falcone era il candidato più indicato).
Le sue proteste, o meglio, le sue composte osservazioni (che comunque non gli evitarono la “chiamata” dinanzi alla sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura) sul danno che tale nomina avrebbe provocato alle indagini condotte dal pool antimafia si sono verificate subito: spazzato via il sistema di indagine che aveva dato i frutti migliori e cioè quello di fare il processo non ai mafiosi ma alla mafia per evitare problemi di competenza giuridica, in altri parole i maxiprocessi, il lavoro si frantumò e lo stesso Borsellino, dopo l’elettrizzante esperienza a capo della Procura di Marsala che decapitò la mafia locale, ultimo superstite del quintetto che fu distrutto dalla violenza stragista mafiosa, tornato a Palermo fu inabissato di cause di poco conto, mentre cercava, d’altro canto, di lavorare il più velocemente possibile sulla strage di Capaci del 23 maggio del 1992 con uno slogan agghiacciante ma pieno di significato: “devo fare in fretta, perché adesso tocca a me!”.
È così è stato il 19 luglio dello stesso 1992, quando via D’Amelio divenne da tranquilla via soleggiata in piena estate ad un campo di battaglia dilaniato da un’esplosione che ha scosso, per la seconda volta in pochi mesi, Palermo, la Sicilia e l’Italia intera: la mafia aveva affondato l’ultimo, micidiale, colpo allo stato e ai suoi uomini migliori, quelli che Sciascia definì "i professionisti dell'antimafia" accusandoli di carrierismo: perché è da tutti far carriera nella consapevolezza di morire violentemente. Pazzesco.

Da quel giorno sono stati sprecati fiumi di parole e celebrati tanti anniversari commemorativi, fino alla recente fiction sul magistrato palermitano che, seppur genuina e certamente educativa ha tralasciato qualcosa: a mio avviso andava sottolineata più profondamente l’emotività di quegli uomini che hanno fatto immensa la giustizia italiana, l’emotività più tragica e drammatica, non erano superuomini, ma uomini che facevano il loro dovere, non erano eroi, erano persone comuni e quindi anche loro suscettibili di emozioni quali la consapevole paura del sacrificio, la pura felicità della vittoria in un processo, l’amarezza della diffidenza che li circondava nel palazzo di giustizia di Palermo, ribattezzato, a ragione, il “palazzo dei veleni”!

Io Paolo Borsellino l’ho sognato. L’ho sognato poco più di un anno fa, lo ricordo come fosse ieri. Mi alzai con le lacrime e gli occhi gonfi, arrossati. Com’era caldo l’abbraccio che ci davamo, come sembrava vero quel momento, surreale come la frase che pronunciai e ricordo ancora nitidamente: "come è strano abbracciarti, sapendo che sei morto". Poi entrambi scoppiavamo in un pianto che voleva essere uno sfogo, pieno di umanità, di forza e di coraggio.
Questo è il mio ricordo più bello del giudice che ironicamente si definiva “monarchico” al fine di dissipare ogni dubbio sulla imparzialità del suo ruolo di magistrato a norma costituzionale.
No, non poteva essere monarchico lui, lui che della Repubblica è stato paladino ed estremo baluardo come ricorda Umberto Lucentini nel suo libro su Borsellino attraverso i ricordi dei sostituti procuratori che l’hanno accompagnato durante l’avventura che Caponnetto definì “esaltante” pur se mista alla tristezza del 23 maggio e del 19 luglio.

Sono passati tredici anni dai 57 giorni che sconvolsero il nostro paese, all’epoca ero poco più che un bambino.
Si, perché quando ho conosciuto il giudice Giovanni Falcone avevo undici anni, venti giorni e una manciata di ore. Era il 24 maggio del 1992 ed ero a tavola, appena rientrato da scuola e guardavo silenziosamente in tv quel cratere infernale sull’autostrada siciliana in prossimità di Capaci devastata dall’esplosione del giorno precedente, mi domandavo cosa avesse fatto di così terribile un uomo per meritarsi quella punizione.
Il 19 luglio dello stesso anno uguale trattamento fu riservato ad un altro giudice, Paolo Borsellino.
Non mi rimase che il vecchio interrogativo di qualche settimana prima.
E quelle immagini che scorrevano sul video le ho conservate, quasi mi appartenessero...caddero nel dimenticatoio, preso dai miei giochi d’infanzia, dai miei futuri errori e mi accingevo alla mia giovinezza.

...ma sotto la cenere, il fuoco brucia!

Ricordo solo la parola che veniva collegata a quel tritolo: mafia.

In quanto italiano non potevo ignorarla, mi era nota e vicina, in un certo senso penso di averla respirata sotto la forma locale di delinquenza organizzata di personaggi più o meno noti nel mio paese dediti ad affari poco chiari, ma cosa poteva importare a me mentre calciavo un pallone con i miei amici nelle strade o scappavo insieme a loro dopo l’ennesimo vetro rotto per evitare quella che avrei conosciuto in seguito sotto il nome di “flagranza di reato”, certo si sapeva che gli autori eravamo noi, ma oltre al pallone tagliato in due da forbici o coltelli compiacenti e una ramanzina dall’anziana signora ci rimaneva l’innocente consapevolezza della nostra libertà!
Qualche anno dopo avrei imparato a chiamarla “attenuante”!

Come nei film, la frase che meglio dissipa ogni dubbio: 11 anni dopo…

Ho conosciuto la mafia per gioco, nel vero senso della parola gioco, esattamente gioco di ruolo, la cui ambientazione era negli anni 20 di una New York in pieno periodo proibizionista; preso dalla smania di interpretare al meglio il mio personaggio, andai a rispolverare dalla libreria di casa un libro che già moltissimi anni prima avevo sfogliato pigramente e imbrattato un po’ con un pennarello nero, attratto da quel mitra Thompson in copertina e dal titolo affascinante e sinistro al tempo stesso: i Gangsters...volevo apprenderne la storia, i comportamenti e i traffici e trovai invece anche un’altra cosa: la passione per un fenomeno tutto italiano e dalla geografia sterminata!
Dopo aver appreso della vita di vari capimafia, da Torrio a Gambino, attraverso i vari Anastasia, Costello, Profaci, Luciano, Genovese e Gallo mi chiesi quale fosse l’antidoto contro questo virus che aveva insanguinato le strade d’America e d’Italia...come un fulmine a ciel sereno si fece limpida nella mia mente l’autostrada sventrata a Capaci e Via D’Amelio ridotta a scenario di guerra.
Negli stessi giorni, sempre casualmente, rovistavo nella libreria alla ricerca di un libro e m’imbattei in un altro: Cose di Cosa Nostra.
Una serie di concause niente male, penso ora a mente fredda.

Dopo la passione, l’interesse!

Fino ad arrivare a questo punto, ad oggi, a questo momento in cui scrivo, fatto di letture, di ricerche e di approfondimenti; sto imparando a conoscere il “mio” Borsellino, l’uomo, il magistrato, il padre, il marito, il siciliano. Con le sue emozioni, la sua cultura, la sua fede, le sue paure, le sue lacrime, i suoi sorrisi. Ed anche le sue sigarette! Tante, troppe.
E su questo piccolo giornale prendo il mio impegno con lui: raccontarlo, raccontarvelo.
A modo mio.

5 commenti:

the2sens ha detto...

e poi l'ho raccontato davvero, su quel giornale!
ora quel giornale non c'è più da oltre tre anni e a volte mi manca..

Anonimo ha detto...

forse tornerà...magari nelle veti di un nipote :P

Anonimo ha detto...

*vesti

the2sens ha detto...

o semplicemente la parabola del figliol prodigo..

Anonimo ha detto...

....credo non tornerà!