Avevamo salutato con tiepido ottimismo il discorso del
Presidente Napolitano del 2010, allorquando sembrava esser riuscito nell’ardua
impresa di solleticare nei giovani italiani la voglia di rivalsa.
È passato un
anno politicamente ed economicamente complesso e così quell’auspicio si è
trasformato in una drammatica presa di coscienza.
Ci saremmo quindi aspettati un discorso più
pragmatico.
Ed invece, ahinoi, ci ritroviamo a condividere le parole del pagano
Calderoli, secondo cui, dato il curriculum del titolare del Quirinale, il
Presidente della Repubblica “avrebbe potuto fare un esame di coscienza su
quello che non si è riuscito a fare fino ad oggi”.
Certamente possiamo
replicare all’ex Ministro leghista che non conviene parlare di quello che “non
si è riuscito a fare fino ad oggi”, dato che sino a ieri avrebbe dovuto (anche)
farlo il Governo di cui era parte.
Ma questa è un’altra storia.
Le parole
chiave di Napolitano sono quelle già sentite da Mario Monti: sacrifici, rigore,
crescita. In sottofondo l’ormai sbiadito
ricordo del 150° anniversario dell’unità nazionale.
Nulla di nuovo sotto il
cielo di un’Italia che si apprestava, statistiche alla mano, ad un cenone di
fine anno divenuto semplice cena. Ma ciò che più ci ha colpito del discorso del
primo cittadino italiano è stato il lungo deja vù con cui il Presidente ha
simbolicamente trasformato la scenografia istituzionale in una officina
operaia.
Non è infatti passato inosservato il richiamo “gentile” ai sindacati,
invitati a ricordare il periodo storico in cui furono capaci di “esprimere
slancio costruttivo, nel confronto con ogni realtà in via di cambiamento, e anche
di fare sacrifici, affermando in tal modo, nello stesso tempo, la loro visione
nazionale, il loro ruolo nazionale”.
Vedremo come reagiranno i tre
moschettieri, nuovamente a braccetto sotto l’egida del dictat “o noi o le
lobby” che per un attimo ci ha riportati al tempo in cui o si era con Lui o
contro di Lui.
Sul punto, da par nostro, suggeriamo alla Camusso di cambiare
parrucchiere.
Alla fine della corsa rimane dunque un senso di smarrimento
affogato con solerzia in un piatto di spaghetti alle vongole.
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