domenica 1 gennaio 2012

dal presidente operaio al presidente sindacalista..


Avevamo salutato con tiepido ottimismo il discorso del Presidente Napolitano del 2010, allorquando sembrava esser riuscito nell’ardua impresa di solleticare nei giovani italiani la voglia di rivalsa.
È passato un anno politicamente ed economicamente complesso e così quell’auspicio si è trasformato in una drammatica presa di coscienza.  
Ci saremmo quindi aspettati un discorso più pragmatico. 
Ed invece, ahinoi, ci ritroviamo a condividere le parole del pagano Calderoli, secondo cui, dato il curriculum del titolare del Quirinale, il Presidente della Repubblica “avrebbe potuto fare un esame di coscienza su quello che non si è riuscito a fare fino ad oggi”. 
Certamente possiamo replicare all’ex Ministro leghista che non conviene parlare di quello che “non si è riuscito a fare fino ad oggi”, dato che sino a ieri avrebbe dovuto (anche) farlo il Governo di cui era parte. 
Ma questa è un’altra storia. 
Le parole chiave di Napolitano sono quelle già sentite da Mario Monti: sacrifici, rigore, crescita.  In sottofondo l’ormai sbiadito ricordo del 150° anniversario dell’unità nazionale.
Nulla di nuovo sotto il cielo di un’Italia che si apprestava, statistiche alla mano, ad un cenone di fine anno divenuto semplice cena. Ma ciò che più ci ha colpito del discorso del primo cittadino italiano è stato il lungo deja vù con cui il Presidente ha simbolicamente trasformato la scenografia istituzionale in una officina operaia. 
Non è infatti passato inosservato il richiamo “gentile” ai sindacati, invitati a ricordare il periodo storico in cui furono capaci di “esprimere slancio costruttivo, nel confronto con ogni realtà in via di cambiamento, e anche di fare sacrifici, affermando in tal modo, nello stesso tempo, la loro visione nazionale, il loro ruolo nazionale”. 
Vedremo come reagiranno i tre moschettieri, nuovamente a braccetto sotto l’egida del dictat “o noi o le lobby” che per un attimo ci ha riportati al tempo in cui o si era con Lui o contro di Lui. 
Sul punto, da par nostro, suggeriamo alla Camusso di cambiare parrucchiere. 
Alla fine della corsa rimane dunque un senso di smarrimento affogato con solerzia in un piatto di spaghetti alle vongole. 
Domani è un altro giorno.


(www.paginaprima.it

Nessun commento: